Verso il protezionismo o le liberalizzazioni? Gli effetti della globalizzazione nel settore del trasporto

Dopo un’estate di sostanziale calma nel settore del trasporto merci su strada, ci avviciniamo ad un autunno che si preannuncia caldo: assistiremo alle tanto attese misure protezionistiche auspicate dalle associazioni di categoria?

Il dibattito a cui abbiamo potuto assistere in questi ultimi mesi nasce dallo scontro filosofico tra chi sostiene una maggiore liberalizzazione e chi chiede di porre un freno ai processi di mondializzazione dell’economia globale, mediante il ricorso al protezionismo. Andiamo ad analizzare la situazione attuale in Italia ed in Europa, cercando di capire quale sia il contesto da cui la discussione deriva e come mai è recentemente entrata nel vivo.

DA DOVE NASCE QUESTO DIBATTITO?

La posizione di chi favorisce le liberalizzazioni trova le sue basi nel Titolo VI del trattato di Lisbona, in particolare l’articolo 91: l’obiettivo dell’Unione europea per il settore del trasporto merci su strada è quello di

creare un mercato liberalizzato del servizio di trasporto su strada aprendo l’accesso alla professione attraverso l’eliminazione di tutte le restrizioni riguardanti il vettore a motivo della sua nazionalità o del fatto che sia stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui è fornita la prestazione”.

I sostenitori dell’applicazione di normative protezionistiche, invece, fondano il loro pensiero nella logica di difendere gli interessi delle imprese nazionali, limitando l’attività delle aziende e dei lavoratori provenienti dai paesi dell’Est europeo avvantaggiati da una situazione interna dove il costo del lavoro è considerevolmente più basso. Lo stesso Ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, ha di recente affermato di voler porre un freno a quella che definisce

una liberalizzazione senza garanzie, che va a discapito della sicurezza e dei diritti dei lavoratori”.

COSA SI INTENDE PER “PROTEZIONISMO” IN QUESTO CASO, PRECISAMENTE?

Probabilmente sarebbe più esatto e corretto fare riferimento a quelle misure mirate a contrastare il cosiddetto “dumping sociale”, ovvero a quell’insieme di normative attuate da uno stato allo scopo di contrastare la vendita di beni o servizi esteri a prezzi inferiori a quelli del mercato interno.

Negli ultimi tempi questo termine si è legato a doppio filo al concetto di limitazione della concorrenza “sleale” da parte di imprese e lavoratori stranieri. Per questa ragione ci si riferisce ad esse associandole al concetto di protezionismo, ovvero a quella visione di politica economica che tende a proteggere le attività produttive nazionali mediante interventi economici statali, ostacolando la concorrenza da parte di stati esteri.

Per quanto riguarda il settore del trasporto, queste si traducono nell’applicazione di normative quali l’introduzione del rispetto di un salario minimo, il divieto del riposo lungo in cabina, l’irrigidimento dei requisiti per accedere alla professione o la creazione di registri elettronici nazionali.

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QUAL È LA SITUAZIONE ATTUALE IN ITALIA?

Il settore del trasporto merci su strada in Italia non sembra vivere un brutto momento. I fatturati sono in ripresa, così come i dati che ci indicherebbero un aumento degli investimenti nel parco mezzi delle imprese. Quello che però appare chiaro è che siano aumentate anche le disparità tra le aziende ben strutturate che dispongono di un grosso fatturato e quelle cooperative o quei padroncini, in netta difficoltà rispetto al passato.

Come riportato da autorevoli fonti, infatti, in sei anni le aziende gestite direttamente da padroncini sono praticamente scomparse: 17mila imprese hanno chiuso, alcune delle quali si sono unite in cooperative per cercare maggiore fortuna. Si tratta di una fetta enorme di mercato che si sposta verso Est dove, come detto, il carico fiscale è minore e dove il costo del lavoro è notevolmente più basso.

Inoltre, secondo una recente indagine effettuata dai magistrati Andrea Liberati e Fabio Gaetano Galeffi sui dati contabili, gli aiuti concessi all’autotrasporto non contribuiscono allo sviluppo del settore perché si limitano a essere destinati quasi per intero al rimborso delle spese correnti. Per questa ragione, secondo i due,

i rimborsi destinati agli autotrasporti non sono allineati alle norme europee e difendono il protezionismo a scapito del libero mercato, non agevolando la crescita del settore”, nonostante “le esigenze di riduzione del costo del lavoro per far fronte alla concorrenza dei vettori extracomunitari, alla sicurezza della circolazione, alla protezione ambientale, all’attività formativa e alla decongestione del trasporto stradale”.

A soggiogare ancora di più le imprese italiane, secondo le associazioni a difesa del settore, la quasi totale assenza di misure capaci di porre un limite a quei fenomeni che si situano ai limiti della legalità quali l’esterovestizione (quella pratica che consta nel “vestire” un’impresa di uno stato giuridico estero, sottraendolo agli obblighi della legge nazionale di pertinenza) ed il distacco internazionale dei lavoratori.

Proprio per contrastare queste dinamiche Unatras ha chiesto di recente l’introduzione immediata del divieto di riposo in cabina, sostenendo di essere contraria a

ulteriori liberalizzazioni che non rispettino le regole di sicurezza, riposo e salario uguale per chi svolge lo stesso lavoro nello stesso paese”,

affermando inoltre di avere intenzione di portare la discussione del cosiddetto “pacchetto mobilità” approvato dalla Commissione europea in Senato, sostenendo la volontà di sanzionare il riposo settimanale ordinario nella cabina del camion e l’apertura indiscriminata ai trasporti di cabotaggio.

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CHE COSA STA SUCCEDENDO NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI?

Il discorso si impernia attorno al concetto che uno stato sovrano possa (o meno) limitare le libertà dei cittadini di altri stati membri dell’Unione europea, soprattutto laddove esistono leggi che prevedono la libera circolazione di uomini e merci, ed è materia quanto mai attuale.

Alcuni paesi membri dell’Unione europea hanno posto un freno al fenomeno delle liberalizzazioni introducendo, appunto, delle misure ispirate al protezionismo: in primis a tracciare questa nuova linea è stata la Francia, seguita a ruota da misure più o meno similari approvate in Germania, Austria e Belgio, fra i tanti.

A tal proposito, Ramón Valdivia di ASTIC (l’associazione che difende gli interessi del settore del trasporto internazionale di merci su strada in Spagna), afferma che

spesso sembra che ci dimentichiamo di tutto il buono che è stato fatto, dato che paesi come la Germania, la Francia o il Belgio hanno messo in atto delle misure chiaramente unilaterali e protezionistiche, destinate a rallentare lo sviluppo e l’attività delle imprese di trasporto straniere di paesi essi stessi membri dell’Unione europea”.

L’opinione dell’associazione spagnola è dunque quella secondo cui la costruzione stessa dell’Unione europea nasce dalla volontà di abbracciare la liberalizzazione. Per questo motivo si è lavorato per abbattere le frontiere e creare un mercato comune.

Grazie al mercato unico europeo abbiamo potuto superare le barriere tecniche, giuridiche e burocratiche che rallentano il commercio e la libera circolazione delle merci e delle persone, ottenendo come risultato quello di poter espandere l’attività delle nostre imprese, potendo godere di costi più competitivi con un notevole aumento dell’offerta per il consumatore”.

Per questa ragione, vengono citati alcuni dati. In Spagna, solamente nel 2016, si sono registrate cifre record con un tasso di crescita del 2,11% rispetto all’anno precedente. Si parla di 260 miliardi di Euro, la cui origine è da trovarsi proprio nella filosofia legata all’esportazione tipica delle imprese spagnole.

Se è vero che stiamo assistendo alla più grande crisi dell’economia europea degli ultimi sessant’anni, è altrettanto vero che il settore del trasporto la può osservare da un punto di vista privilegiato, poiché rappresenta un’attività strategica e trasversale che ha sempre sfruttato e goduto dei vantaggi dell’integrazione europea.

Con l’approvazione di queste misure legislative ci stiamo addentrando in un terreno paludoso che frammenterà la mappa dell’Unione europea in un settore dove la competitività e l’efficienza sono cruciali, soprattutto per quanto riguarda la struttura industriale, turistica e commerciale del continente. Spero di sbagliarmi, ma la battaglia tra protezionismo e globalizzazione sta andando a favore del primo”.

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